Vent’anni dopo, a sancirne lo statuto di ‘classico’ – senza immobilizzarlo, ma rimettendolo in circolo perché destinato a molti – il Mulino ripubblica: Giacomo Todeschini, Ricchezza francescana. Dalla povertà volontaria alla società di mercato. Fin dalla copertina – dove come aureola al volto di Francesco d’Assisi è posta una moneta d’oro di papa Sisto IV – il libro ha segnato una messa a fuoco delle acquisizioni sul ruolo dei frati Minori nell’elaborazione dei linguaggi e del pensiero economico e, insieme, un punto di partenza per nuovi approfondimenti. Non tanto per fare dei frati Minori gli inventori del capitalismo o i precursori dell’economia moderna (Todeschini fa trasparire tutta la sua perplessità verso queste forzature), ma per tracciare l’avventura intellettuale e sociale nata da chi aveva individuato «nella privazione e nella rinuncia gli elementi decisivi per intendere il valore di scambio», legato alla «profonda logica metafisica e politica dell’Incarnazione divina» (p. 8).
In fondo, quindi, un discorso che parte dal Natale, anche e proprio quello sperimentato e ri-presentato da Francesco a Greccio ottocento anni fa, nel 1223. E se l’esperienza di Francesco d’Assisi è posta all’inizio di questo libro, i Monti di Pietà ne rappresentano il punto d’approdo, certo non unico ma importante, perché «istituzione […] capace di presentarsi al mondo dei cristiani come il riassunto di tutta un’etica economica fondata sul concetto di produttività sia economica che morale della circolazione costante della ricchezza» (p. 180). Paradossale: un monte, un cumulo di denaro, a incarnare l’idea della circolazione, del non accumulo delle risorse. E questo spiega, forse, il nome di Sisto IV sulla moneta in copertina, il quale fu non solo frate Minore, ma deciso sostenitore proprio dei primi Monti.
Pietro Delcorno