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L'amministrazione delle decisioni politiche sul credito

23/05/2019

 L'amministrazione delle decisioni politiche sul credito

1. Cenni di storiografia

Negli ultimi decenni si sono accresciuti notevolmente gli studi che hanno affrontato la storia del Monte di pietà di Bologna, tra i secc. XV e XVII, e che lo hanno fatto interrogandosi sul piano più generale del panorama storiografico contemporaneo che si dipanava intorno ai due temi centrali inerenti lo sviluppo in Italia dei monti di pietà e degli stati regionali. Tale avvertita storiografica sul Monte di pietà di Bologna si è mossa contestualizzando i molti aspetti legati alla storia del Monte di pietà contestualizzandola nel più ampio orizzonte delle ricerche in ambito nazionale e internazionale, prendendo così in considerazione una serie di problemi implicati in quella vicenda quali l'evoluzione delle città medievali e rinascimentali, la creazione degli stati regionali, con particolare attenzione alla transizione dallo stato cittadino a entità statuali più vaste, all'unificazione territoriale e ai tentativi di accentramento politico all'interno dello Stato pontifico, non trascurando di interrogarsi sulla precoce formazione degli apparati amministrativa e della centralizzazione delle funzioni di governo. In questo vasto dibattito sono stati fatti rientrare le indagini sulla legazione bolognese (secc. XVI-XVIII), dopo la conclusione della signoria di Giovanni II Bentivoglio (1506) e prima dell'ingresso in città delle truppe napoleoniche, nelle terre governate dal sovrano pontefice.

Accanto a questi indagini, che consentono una chiara contestualizzazione del tema (Bologna e Monte di pietà), queste ricerche si sono occupate in maniera approfondita e innovativa del ruolo finanziario ed economico avuto dal Monte di pietà all'interno della città di maggior importanza dello Stato della Chiesa, dopo Roma, che, si noti, aveva mantenuto un proprio Senato e un ambasciatore accreditato a Roma e che si reggeva sulla dialettica "costituzionale" tra reggimento cittadino e legato papale (Fornasari 1993; Carboni 1995).

Infine queste ricerche tendevano a dipanare la matassa delle relazioni tra Monte di pietà, Chiesa e società, dal punto di vista politico, del welfare e monetario, indugiando sulla chiusura del patriziato e suoi riflessi di tale processo anche sul governo del Monte: "L'obbedienza a Roma da un lato e la difesa della libertas comunale dal'altro costituivano la chiave di volta del primato politico della ristretta oligarchia di famiglie patrizie" (Carboni 1995, p. 38).

Rimaste vitali a lungo le questioni relative all'evoluzione verso forme oligarchiche di governo (Carboni 1995, pp. 47-57) e quelle riguardanti l'ampliamento del peso economico assunto dal Monte in città, divenuto in epoca moderna il "Thesoro" di Bologna e il suo polmone finanziario poiché era andato assommando alla attività di credito su pegno, funzioni molteplici e multiformi (Fornasari 1993, Carboni 1995, Carboni 2014).

Accanto a questi studi fondamentali sono andati affastellandosi studi di altra natura che hanno preso in considerazione nuovi filoni di ricerca, dopo quelli che avevano insistito sulla formazione degli stati regionali e sul rapporto centro e periferia degli anni Novanta, accogliendo le nuove istanze della storiografia quali il disciplinamento della società, le modalità di distribuzione del potere e della ricchezza in età moderna, l'organizzazione e la gestione del Monte e delle sue carte, la co-esistenza della dimensione morale e manageriale che permeava l'agire economico determinando in età barocca l'orientamento dei ceti dirigenti locali in materia di "ammortizzatore sociale" e di welfare dal momento che "il Monte non aveva fini di lucro nel farsi banchiere. D'altro canto i Monti non mancarono di adottare i più aggiornati comportamenti e tecniche razionali. il punto è che l'agire economico non era finalizzato al conseguimento del massimo profitto possibile, ma della massima stabilità e utilità sociale possibili" (Carboni 2014, p. 19).

Hanno accompagnato questi scavi profondi nella documentazione archivistica numerosi altri studi su vari aspetti che hanno allargato lo spettro delle nostre conoscenze estese a temi molto rilevanti quali il rapporto con i banchi ebraici, con i banchi pubblici locali dei banchieri, con il denaro, l'usura, il denarino, gli intacchi, i monti frumentari, il prestito informale, il welfare e la politica delle doti, con lo sviluppo urbanistico, iconografico e architettonico delle sede e degli archivi, ecc.. Molte di quelle ricerche hanno avuto una prospettiva comparatistica e allargata ad altri centri, regionali e nazionali, per citarne solo alcuni tra i molti, che sono andati ad arricchire gli studi fondamentali di Fornasari e Carboni, cui si è fatto riferimento.

2. Brevissimo schizzo storico sul Monte di pietà

Il Monte di pietà di Bologna venne istituito nel 1473, ma chiuse i battenti per diverse ragioni di matrice politica ed economica, nel 1474, per essere rifondato definitivamente nel 1504, imponendosi come il maggiore ente economico cittadino già nel '500. L'ente aveva la finalità di fare fronte al diffuso bisogno di credito della popolazione meno abbiente e di sottrarre così i cristiani dalla necessità di ricorrere al prestito usurario degli ebrei. Come accadde in altre parti d'Italia, la solidità finanziaria dell'istituto determino l'allargamento delle maglie d'intervento includendo funzioni creditizie e assistenziali, che determinarono il notevole peso politico. Nel '500 si assiste a una dilatazione delle sedi nel tessuto urbano (nei 4 quartier) e anche nel territorio suburbano (Budrio e San Giovanni in Persiceto: 1531-1572). Divenuto nei fatti, nel corso del XVII secolo, banca pubblica svolgeva funzioni di tesoreria del debito pubblico, offrendo servizi di deposito e conto corrente, concedendo prestiti, pur restando il prestito su pegno attività prevalente. Tutto ciò avvenne in un stretto, fecondo e positivo rapporto sia con le autorità ecclesiastiche, sancito in particolar modo dagli statuti del 1576 che introducevano numerose novità, rispetto agli statuti del 1514, accogliendo le disposizioni del Concilio di Trento e convergendo in questo modo sull'azione di riforma promossa dall'arcivescovo Gabriele Paleotti, sia con le aspirazioni delle magistrature cittadine, in speciale modo il Senato e l'Assunteria di Abbondanza, coadiuvando il reggimento che si mostrato intenzionato a mantenere un controllo civico sul Monte. In questo modo a Bologna venne a istaurarsi una collaborazione tra autorità ecclesiastiche, cittadine e presidenti del Monte in cui Fornasari e Carboni hanno riconosciuto, rispetto ad altre realtà, un tratto distintivo. I monti di pietà erano un centinaio nel secondo decennio del Cinquecento e circa settecento nel sec. XVIII, acquisirono molteplici funzioni creditizie nel processo evolutivo dei secoli XVI-XVII, in particolare nel caso di Bologna la sacralità e i fini morali si collegavano alle istanze cittadine, alla gestione collegiale del governo dell'ente, alla razionalizzazione gestionale, al sostegno alla politica senatoriale, soprattutto nei momenti di grave crisi di approvvigionamento e di mancanza di circolazione di denaro.

3. Il soggetto produttore: la congregazione dei presidenti del Monte

A Bologna governare la carità si esprimeva nel governo collegiale delle principali opere pie e si sposava perfettamente con la tradizione repubblicana, basata sulla cittadinanza. Da ciò erano emersi gli assetti oligarchici del governo cittadino che era andato consolidandosi nelle mani del Senato e degli esponenti di spicco del patriziato che perseguiva un duplice obiettivo: da un lato affermare l'autonomia conquistata nei confronti del controllo papale, ricercando un equilibrio stabile con il legato inviato dal sovrano pontefice, dall'altro il controllo oligarchico dei centri di potere. Il Monte di pietà di Bologna si distingue per la relativa ampiezza della rappresentanza, che garantì, nel rispetto degli statuti, una partecipazione moderatamente larga dei cittadini al consiglio, principale organo di governo (la congregazione dei 12 presidenti del Monte di pietà), e garantendo l'efficace gestionale amministrativa grazie alla esclusione del patriziato bolognese dall'amministrazione affidata alla competenza di operatori professionisti di esperienza comprovata (Su questi temi cfr. Fornasari 1993, Carboni 1995, Carboni 2014). "La divisione fra governo politico pro tempore e management permanente costituì la pietra angolare su cui poggiava la gestione del Monte. Questa divisione di ruoli ebbe il merito di spegner sul nascere gli abusi perpetrati altrove" (Carboni 2014, p. 49).

I primi statuti del 1514 delineavano un corpus amministrativo largo, in cui trovavano rappresentazione diverse componenti cetuali cittadine. Il governo del monte creava una rete sociale dove laici e religiosi, patrizi ed esponenti delle professioni condividevano le finalità caritative ed economiche. Il governo del monte venne pertanto affidato a 12 presidenti, 4 dei quali appartenevano all'ordine delle dignità: un canonico del capitolo della cattedrale per il clero secolare, il padre guardiano del convento del'Annunziata per il clero regolare, un dottore collegiato per l'Università, un senatore. A questi si affiancavano 4 presidenti nobili e 4 cittadini. Dopo quasi mezzo secolo vi fu un tentativo di irrigidimento e si passò dal questo principio collegiale, largo con un alto tasso di ricambio, un principio, impostosi in seguito ad una deliberazione del consiglio del 1564, che opponeva all'alternarsi annuale dei presidenti l'istituirsi di un meccanismo di nomina che prevedeva l'elezione a vita di 3 presidenti. Gli statuti del 1576 aprivano la strada ad un nuovo equilibrio che rivedeva il principio della perpetuità della carica, sancendo un meccanismo che si consolidò nel 1599, a seguito di una delibera del congregazione dei presidenti che bilanciava il principio della rotazione con il bisogno dell'esperienza e della stabilità istituzionale (Per gli statuti cfr. Antonelli 2014). Si stabilì allora che 3 presidenti (canonico, dottore e senatore) rimanessero in carica per un triennio, con il rinnovo di ciascuno di essi in anni diversi, il padre guardiano restava in carica per l'intera durata del suo ufficio religioso, mentre i restanti 8 presidenti (nobili e cittadini) duravano in carica per un quadriennio, essendo designati per estrazione in un numero doppio e approvati dal Senato. In questo modo la procedura abbinava ingegnosamente sorteggio e designazione. L'evoluzione di queste procedure sulla composizione dei vertici del Monte rivela che il meccanismo caratterizzato da un notevole ricambio era profondamente segnato dalla monopolizzazione da parte di esponenti di primo piano del patriziato, dell'Università e delle professioni cittadine. La maggior parte dei presidenti proveniva da famiglie molto rappresentative del patriziato, marcando il profondo legame che saldava il patriziato senatorio alla carica di presidente del Monte. La congregazione si riuniva con cadenza almeno settimanale ed era presieduta dal Priore, carica ricoperta a rotazione mensile da ciascun presidente, a confermare la volontà di governo collegiale. La collegialità era rafforzata da norme che prevedevano maggioranze molto ampie per gran parte delle deliberazioni (per i temi trattati cfr. Fornasari 1993, Carboni 2012).

Tutti elementi si rispecchiano nelle modalità di discussione, su temi molto vasti, e di registrazione dei verbali delle deliberazione del consiglio del Monte, in cui è pressoché assente il dibattito, secondo un processo in atto nelle assemblee cittadine italiani almeno dal Trecento, con alcune, anche significative, eccezioni (si vedano le consulte fiorentine). Questa situazione è resa plastica dalle prime 20 carte del primo registro di verbali del Monte di pietà che trascrivo in appendice in cui manda del tutto un riferimento alla discussione e in gran parte sono assenti le indicazioni anche formali che garantiscono la formazione di un proposta e di un partito consiliare come emrge anche solo osservando le verbalizzazioni dei mesi di maggio e giugno 1561 (Appendice 1).

Un processo redazionale deciso che mostra come, al di là che le decisioni venissero o meno assunte in ambiti ristretti ed extraconsiliari, non venissero registrate le discussioni e le procedure avvenute e seguite in assemblea, che a dare lettura alla verbalizzazione non risulta essere il luogo del dibattito e dell'assunzione delle deliberazioni, se non attraverso l'espressione della votazione (cfr. Appendice 1). Altre fonti archviistiche del Monte ci restituiscono un quadro meno arido (Ordinazioni fatte dall’illustrissima congregazione del Sacro monte di pietà per norma et istruzione degl’illustrissimi signori priori pro tempore d’esso Sacro monte):

Quali capitoli sono stati da me segretario d’ordine come sopra letti a' signori congregati e da essi (come è parso) ben intesi et uditi e dalli stessi, doppo essersi sopra quelli avuti longhi e maturi discorsi, sono stati con un segreto partito proposto, raccolto et ottenuto con voti affirmativi numero sette et un negativo confirmati et approvati tanto essi quant’anche li sopranominati capitoli fatti dell’anno 1653 e loro aggiunta fatta dell’anno 1664.

Anzi l'andamento documentario ordinario, che pare refrattario, nel primo registro a verbalizzare i vari passaggi formali del consiglio, non è esente da infrazioni, anche vistose come appare in un testo notevole, stante nella relazione letta da uno dei presidenti del Monte, nel 1601: in essa Pompeo Vizzani metteva in discussione la distinzione che il Monte operava indebitamente a favore dei poveri nei confronti dei nobili, distinguendo la percentuale del denarino a svantaggio del ceto abbiente (Fornasari 1993, pp. 267-273, Carboni 2014, pp. 44-46). Il suo ragionamento ineccepibile dal punto di vista logico-giuridico intendeva ottenere vantaggi economici per la classe nobiliare, in un momento di grave crisi economica per la città, nel nome di un equità, che il Vizzani trovava doversi garantire a tutti allo stesso modo nel rispetto della carta statutaria del Monte (cfr Appendice 2).

4. Il segretario

La stesura dei verbali del consiglio, la loro conservazione nella depositaria, l'accesso ad essi e la loro relazione con altre serie (Instrumenti, Bolle, Statuti, Regolamenti) era responsabilità del Segretario notario, una figura creata il 13 maggio 1561 (cfr. Appendice 1), in seguito all'espansione delle attività del Monte e alla crescente complessità dell'apparato. I presidenti stabilirono di attivare un processo di gestione manageriale. In sostanza si assiste ad un progressivo affinamento dell'organizzazione, delle forme e delle tecniche di gestione e controllo interne. Gli statuti del 1576, che restarono validi per oltre due secoli, fissavano, precisati da regolamenti successivi i principali ruoli e assetti della struttura operativa, sia di quella centrale che di quella periferica (costituita dalle diverse "agenzie" presenti in città). La mansione del Segretario notaio, come dei restanti funzionari e operatori, fu oggetto di un continuo lavoro normativo che culminò nella compilazione nel 1629 di un primo regolamento complessivo che però non dedicava attenzione al nostro ufficiale, ma agli ufficiali che avevano ruoli e svolgevano mansioni contabili e amministrative. Il Monte si articolava in un livello operativo decentrato stante nelle diverse "agenzie" urbane (dove avveniva l'impegnagione e l'erogazione dei prestiti su pegno) e in un livello centrale costituito dall'ufficio della depositeria. Al vertice dell'apparato amministrativo troviamo l'economo e il notaio segretario che svolgeva una funzione chiave, di raccordo tra il consiglio dei presidenti e la struttura burocratica.

Il segretario doveva essere cittadino bolognese, notaio con esperienza iscritto all'ordine, di buona nascita e costumi. Esso prendeva parte alle congregazioni, redigeva i verbali, doveva scrivere tute le lettere, i decreti e le relazioni. Controllava le carte e tutelava i segreti del Monte. La delicatezza di questo ruolo ne facevano il protagonista di una parte consistente dell'archivio. Fin dalla fine del '500 al segretario fu affiancato un secondo notaio, detto, istrumentario, con il compito preciso di redigere gli instrumenti ossia i contratti stipulati per conto del Monte e tenerne un ordinato libro campione (Carboni 2014, pp. 154-160). Il rilievo degli incarichi del segretario emerge dalle manoscritte Instruzioni per gl'illustrissimi e reverendissimi signoti presidenti:

[…] Terminata questa lettura e licenziato l’economo ordinarà al segretario la lettura della passata congregazione dopo la quale farà leggere al medesimo un capitolo dello Statuto.

[…] Farà pure nella stessa prima congregazione ordinaria leggere dal segretario il vacchettino intitolato Memorie per la congregazione, introdotto a fine che gli affari del Sacro monte non restino arretrati.

Deve in ogni congregazione esibire alli signori congregati tutte le suppliche, memoriali, instanze ed affari di qualunque sorte concernenti il Sacro monte ed illustrissima e reverendissima congregazione, esponendo per ordine una dopo l’altra tutte le cose suddette, incominciando sempre da quella che stimerà di maggior premura, raccogliendo sopra di ciascheduna li voti de’ signori congregati, incominciando sempre dal degniore, e così proseguendo per grado sino all’ultimo ne passerà a proporre altra cosa, se non dopo che sarà stato dato sfogo alla cosa proposta e così dovrà sempre fare servando sino all’ultima l’ordine suddetto, portando piuttosto ad altra congregazione quegli affari che non abbisognano di così sollecito provvedimento, quando questi potessero pregiudicare alla comoda spedizione ed al metodo introdotto per molte ragioni ma particolarmente per questa, cioè, perché tutti gli atti della congregazione possino fedelmente e con il dovuto ordine ed esatezza notarsi dal segretario per poscia registrarli nel solito libro conforme l’obbligo suo, cosa che difficilmente potrebbe ottenersi nelle sessioni tumultuarie.

[…] In detto giorno introdotti per la prima volta li nuovi signori presidenti in congregazione ordinerà al segretario la lettura della bolla di papa Giulio Secondo e li capitoli per la distribuzione delle doti Torfanini ed obbligo che ha ciaschedun signor presidente di tacere li segreti del Sacro monte, in seguito della quale dovranno li signori presidenti, tanto nuovi che vecchi, giurare la plenaria osservanza del contenuto in detta bolla e capitoli letti.

[…] Quanto al modo deve il signor priore essere avvertito che il secretario unitamente col notaro instrumentario devono ripartire in sei viaggi con buon ordine e secondo il solito tutti li processi delle zittelle concorrenti e ciò per buona regola e minor incomodo in seguito li suddetti viaggi fra di loro e cioè due signori per ciaschedun viaggio li quali così accompagnati e serviti da ministro pratico visitano le zittelle già dette nelli modi e con le regole descritte nelle polize a tale effetto stampate. In questa ultima congregazione aperto l’archivio ed estratta ed aperta la cassetta delle imborsazioni già dette dal signor priore si estraeranno dalla borsa de’ nobili li nomi di due soggetti e dalla borsa de’ cittadini altri due li quali così estratti e riconosciuti attualmente capaci dall’uffizio di presidenti dovranno essere descritti dal segretario in una lettera sigillata la quale dal signor priore viene pregato il signor senatore in occasione di trasferirsi a palazzo per la estrazione del nuovo signor gonfaloniero a volerla presentare al detto illustrissimo ed eccelso senato per la solita conferma e trovandosi impedito o ricusante esso signor senatore dovrà in tal caso il signor priore trasmetterla a palazzo per mezzo del segretario della congregazione e questo non può mai omettersi.

Solo al principio del sec. XVIII, la grave farragine delle scritture e la preoccupazione di tutelare i diritti patrimoniali del Monte spinsero la Congregazione dei Presidenti del Monte a deliberare la regolazione delle scritture dell'Archivio, grazie all'assunzione, il 28 gennaio 1706, del primo archivista del Monte (Mita 1990, p. 255, Antonelli 2005).

Il segretario insieme all'intero corpo burocratico del Monte era tenuto ogni anno a prestare un solenne giuramento a seguito di una speciale esortazione da parte padre guardiano, godendo di particolare attenzione e sostegno nel corso della sua vita professionale (e anche dopo di essa) da parte dell'istituto. A Bologna, il fenomeno della tendenza dinastica fu marginale. Nel caso della figura del segretario si possono ricordare Annibale e Giovan Battista Rustighelli, Costanzo e Valerio Manfredi (La lista dei segretari, dal 1561 al 1693, in Carboni 2014, p. 182). La cooptazione di Giovan Battista Rustighelli, da parte del primo segretario del Monte (Annibale Rustighelli) consentì allo stimato notaio di avere di fianco un aiutante giovane e di fiducia, che si assoggettava ad un periodo di apprendistato con la prospettiva di subentrare alla morte del titolare. Ciò permetteva un avvicendamento non traumatico e privo di costi aggiuntivi al Monte.

La serie dei Verbali è costituita da 202, prodotti dai segretari del consiglio in un arco cronologico compreso tra il 1561 e il 1924 (1561-1589; 1598-1808; 1814-1924). I registri cartacei riportano la registrazione dei verbali delle sedute periodiche della Congregazione dei presidenti del Monte, durante le quali venivano discussi tutti gli affari che interessavano la vita del Monte. A ciascun registro è generalmente unita una rubrica alfabetica: Abecedarium che consente di recuperare le decisioni riguardante una cospicua e vastissima materia.

Riferimenti bibliografici

Antonelli 2014 : I primi statuti del Monte di pietà di Bologna (1514-1576), a cura di Armando Antonelli, Bologna, il Mulino, 2014.
Antonelli 2011 : Armando Antonelli, Raccogliere le carte e rappresentare l'ente: l'uso delle immagini nella documentazione del Monte di pietà di Bologna tra XVI e XVIII secolo, in L'iconografia della solidarietà, a cura di Mauro Carboni e Maria Giuseppina Muzzarelli, Venezia, Marsilio, 2011, pp. 147-161.
Carboni 1995 : Mauro Carboni, Il debito della città. Mercato del credito, fisco e società a Bologna fra Cinque e Seicento, Bologna, il Mulino, 1995.
Carboni 2014 : Mauro Carboni, Il credito disciplinato. il Monte di pietà di Bologna in età barocca, Bologna, il Mulino, 2014.
Fornasari 1993: Massimo Fornasari, Il "Thesoro" della città. Il Monte di Pietà e l'economia bolognese nei secoli XV e XVI, Bologna, il Mulino, 1993.
Mita 1990 : Paola Mita, Gli uffici e le scritture del Monte di Pietà di Bologna. Presidenti, notai e computisti; dall’origine alla fine del Settecento, «Il Carrobbio», XVI, 1990, pp. 248-257.